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Foto – Utoya, alla Feltrinelli verità, bugie e omissioni sul massacro norvegese

«Creare un falso obiettivo per depistare», «se il nemico è forte, attaccare i suoi cari», «creare un rumore ad est e colpire a ovest», «nascondere il coltello, sorridere e poi colpire».

Il 22 luglio 2011, Anders Behring Breivik – seguendo alla lettera le istruzioni ideate e scritte da lui stesso nel suo Compendium di più di 1.500 pagine – scatena l’inferno in Norvegia: otto morti con un’autobomba a Oslo e, approfittando del caos nella capitale, una vera e propria strage degli innocenti nell’isola di Utoya, dove 69 ragazzi laburisti vengono uccisi uno ad uno mentre soggiornavano nel campeggio estivo dei socialisti.

La tattica dell’assassino è diabolica: travestito da poliziotto, Breivik dice ai ragazzi di avvicinarsi. Poi apre il fuoco, colpendo qualsiasi essere umano nelle vicinanze.

Verità, bugie e omissioni di questa strage sono state discusse lunedì 20 gennaio alla libreria Feltrinelli di Genova con la presentazione de “Il silenzio sugli innocenti” di Luca Mariani, giornalista parlamentare dell’AGI. A parlarne con l’autore, Claudia Bastianelli, segretaria nazionale Federazione dei Giovani Socialisti, Valentina Bocchino, giornalista collaboratrice del Secolo XIX e direttore responsabile di Cronache Ponentine, Andrea Ferro, giornalista del Corriere Mercantile, Stefano Quaranta, deputato Sel, e Mario Tullo, deputato Pd. A leggere alcuni brani tratti dal libro, Mario Podeschi.

Le “stranezze” sulla vicenda di Utoya iniziano quando la notizia in Italia non viene riportata correttamente da tutti. Il giorno dopo, le prime pagine di molti quotidiani parlano di un attentato di matrice islamica, ipotesi che in effetti aveva trovato spazio nei primi momenti, per sgonfiarsi poi nell’arco della stessa giornata.

Quando si scopre che in realtà l’assassino è un norvegese, il fatto improvvisamente perde interesse: Breivik diventa semplicemente un pazzo X che uccide dei giovani Y. Il gesto di un folle, insomma.

Ma Breivik non venne giudicato incapace di intendere e di volere, anzi, al processo dichiarò che se lo avessero dichiarato infermo di mente avrebbe presentato ricorso: il suo era un piano studiato nei minimi dettagli, preparato da anni, per colpire precisamente determinate persone. E, soprattutto, Breivik non era solo: aveva una rete, dei collegamenti, cellule che – a suo dire – sono pronte ad attivarsi.

Dietro alla sua azione, infatti, si cela una rete di contatti di estrema destra a livello europeo, basti pensare che pochi minuti prima di agire, Breivik inviò il suo Compendium a più di 8.000 indirizzi e-mail. Massimo comune denominatore: l’odio nei confronti degli immigrati, soprattutto musulmani. E dei “nemici” favorevoli al multiculturalismo, in fattispecie – in Norvegia – il Partito Laburista, che doveva essere distrutto alla radice. A partire dai ragazzi. Due piccioni con una fava: colpire il futuro del partito, e nuocere alla classe dirigente attuale attaccando i suoi giovani.

Molti retroscena sono stati taciuti, basti pensare che dal 24 luglio 2011 in poi sulle pagine dei giornali italiani scompaiono le parole “socialista” e “laburista”, che del resto non vengono neppure pronunciate nel dibattito alla Camera dei Deputati quando si è parlato dei tragici fatti di Utoya. Mariani, nel suo libro, non solo ha riportato la storia di Breivik con la cronologia che scandì quella terribile giornata, ma ha parlato anche dei ragazzi che vennero uccisi, dei loro sogni, delle loro commoventi testimonianze, come quella di Andrine, salvata dal sacrificio del giovanissimo Henrik Rasmussen, morto a 18 anni per proteggerla.

Eppure, allora e soprattutto ora, a un passo dalle elezioni europee, bisognerebbe riflettere sul gesto di Breivik, e soprattutto sul fatto che non era un pazzo solitario – anche se ha agito senza complici – ma si teneva regolarmente in contatto con molti altri “fanatici” in Europa vicini ai vari partiti di estrema destra (e che l’assassino, nel suo Compendium, elenca).

«La strage di Utoya- spiega Luca Cefisi, ufficio di presidenza del PSE – non è una banale tragedia della follia: è il frutto di un nuovo estremismo di destra, dell’odio contro il governo di sinistra del laburista Stoltenberg, del fanatismo contro gli immigrati. E’ una strage che vuole abbattere un modello di tolleranza e di convivenza civile».

La risposta a questa orribile strage? Una lezione per tutti. Mentre il premier Stoltenberg dichiara che «la nostra risposta sarà maggiore democrazia», il secidenne Ivar Benjamin Ostebo, scampato alla strage, pubblica una lettera aperta a Breivik sulla sua pagina Facebook:

«Caro Anders Behring Breivik, sappi che hai perso. Tu credevi forse di avere vinto, uccidendo i miei amici e i miei compagni. Tu forse credi di avere distrutto il Partito Laburista e coloro che in tutto il mondo credono a una società multiculturale. Tu descrivi te stesso come un eroe, un cavaliere. Tu non sei un eroe. Ma una cosa è sicura: tu di eroi ne hai creati. A Utoya, in quella giornata di luglio, hai creato alcuni tra i più grandi eroi che il mondo abbia mai prodotto, hai radunato l’umanità intera. Tu meriti di sapere cosa ha prodotto il tuo piano. Molti sono arrabbiati con te, tu sei l’uomo più odiato della Norvegia. Io non sono arrabbiato. Io non ho paura di te. Non ci puoi colpire, noi siamo più grandi di te. Noi non risponderemo al male con il male, come vorresti tu. Noi combattiamo il male con il bene. E noi vinceremo».

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