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Insegnare haiku in carcere, l’esperienza di Fabia Binci

Alcuni degli haiku dei detenuti troveranno spazio nella rubrica “L’Angolo della Poesia” di Cronache Ponentine.

 

Un orologio rotto che ferma il tempo segna il trascorrere sempre monotono dei minuti in cella, le sbarre della prigione diventano “quadri di ferro” per guardare la luna, e i rimpianti degli anni passati diventano poesia: si tratta del progetto internazionale “Parol”, che si propone di insegnare l’arte all’interno dei penitenziari. A partecipare – insegnando haiku – anche Fabia Binci, ex professoressa di letteratura italiana, presidente dell’Unitre di Arenzano e Cogoleto.

“Parol”, nato a fine 2013, è finanziato con il sostegno della Commissione Europea e organizzato in Italia da Cascina Macondo – che propone percorsi laboratoriali per detenuti, dalla poesia al teatro, dalla danza alla ceramica, per una durata di tre anni.

«Un pass appuntato sul mio petto – dice Fabia, che ha insegnato l’anno scorso – e sotto, un cuore che batte forte. Emozioni, timori, dubbi. Come posso entrare in relazione con i detenuti che mi aspettano? Non mi aiuta il ricordo lontano di quando varcavo la soglia di San Vittore a Milano, fine anni 60, con altre studentesse come me per un’opera di volontariato. Cosa mi propongo entrando nel nocciolo di quel mondo?».

Nella casa circondariale “Lorusso – Cutugno” di Torino i detenuti sono una decina, di cui soltanto quattro hanno già seguito gli incontri di Parol, mentre il gruppo, una dozzina di persone, è al completo presso il carcere “Rodolfo Morandi” di Saluzzo.

«Credo che la scrittura, oltre che essere balsamo e cerotto per le ferite dell’anima, possa essere un incentivo a ricostruire la propria vita. La parola scende in fondo, lascia tracce profonde, crea echi, scuote i meandri dell’anima. Così passo a parlare dell’haiku, legato alla particolare sensibilità per la natura dei giapponesi, che in altri campi devono molto ad altre culture ma non in questo. Parlo dei miei viaggi in Giappone e del paesaggio incredibile di questo paese dove tutto è montagne, mare, nebbia e verde».

Dalla teoria alla pratica: «Così siamo passati al gioco di comporre haiku, muovendo dalla suggestione di parole scritte su cartoncini: finestre aperte sul mondo interno ed esterno. Ognuno ha scelto le “sue” parole, le ha messe insieme, vi ha aggiunto luce, penombre, chiarori, guizzi rapidi di lampi che tagliano nuvole e cielo. Se in prigione è il corpo non devono starci anche l’anima, il cuore, la mente. La scrittura permette ai detenuti di respirare aria pulita e odori buoni, di ascoltare voci che giungono dagli anni che li hanno sepolti, di rimarginare ferite. Chi sta scontando la pena è spesso un’altra persona rispetto a quella che è stata condannata, ha diritto di ritrovarsi, di rinascere. Come disse Paulo Coelho, “nessuna notte è tanto lunga da non permettere al sole di sorgere”».

Il progetto non comprende solo corsi di poesia, ma anche laboratori di arti plastiche e visive. Il 16 novembre saranno premiati gli haiku più belli, mentre successivamente verrà organizzata una mostra con i lavori dei detenuti che girerà l’Europa.

Alcuni degli haiku dei detenuti troveranno spazio nella rubrica “L’Angolo della Poesia” di Cronache Ponentine.