di Giacomo Bonessa
“Perché sono entrato in Croce Rossa? Per puro caso. Una mattina ero in casa e squilla il telefono. Cercavano mio fratello che era già volontario per un servizio urgente ma lui non c’era. Allora mi chiedono: vuoi venire tu? E io dico: perché no? Da allora sono passati 44 anni e non me ne sono più andato”. Enrico Parodi, 65 anni, arenzanese doc e volontario di più lungo corso dell’associazione di assistenza cittadina, racconta così il suo ingresso nella croce Rossa nel lontano 1980.
“Avevo 22 anni. Ero appena tornato dal militare e stavo preparando dei concorsi per entrare nella pubblica amministrazione. Io avevo tempo e loro non avevano regole stringenti come oggi. Non bisognava aver seguito corsi o avere diplomi. Quelli li ho poi ottenuti piano piano, arrivando a prendere anche la patente di guida per i mezzi pesanti che mi hanno permesso di intervenire in occasione dei terremoti all’Aquila, a Amatrice e a Larino”.
Quindi volontario in trasferta?
“Sì, a Amatrice andavamo su e giù da Savona per portare camion carichi di aiuti. All’Aquila invece mi sono fermato quindici giorni sotto l’egida della protezione civile. Lì ogni giorno portavamo beni di prima necessità agli abitanti dei piccoli Comuni circostanti. Sono stato anche a Ventimiglia per soccorrere i migranti che erano stati respinti dalla Francia”.
Ad Arenzano invece che cosa faceva?
“Nell’81 sono entrato come autista in Comune, poi sono diventato caposquadra della manutenzione stradale e immobili e lo sono rimasto fino al 2022 quando sono andato in pensione”.
E come conciliava il lavoro con il volontariato?
“Durante gli anni di lavoro facevo solo i turni di notte, dalle 23 alle 8 dal mattino, una volta alla settimana. Da quando sono in pensione faccio il mattino, dalle 8 alle 14”.
A quante chiamate avrà risposto in 44 anni?
“Non lo so. Non ho mai tenuto il conto ma credo siano proprio tante”.
Le più brutte?
“Beh, quelle con incidenti mortali: sull’Aurelia, in autostrada, in stazione quando arrivi e trovi il morto o una persona con il corpo straziato, mutilato. E poi quando a dover soccorrere qualcuno che conosci, magari un amico”.
Le è mai capitato di essere sconvolto fino al punto di piangere?
“Sì, mi ricordo qualche anno fa. Ci chiamarono per un ragazzo rimasto ferito in un incidente di moto. In realtà le lesioni erano gravissime e quando arrivammo in ospedale il giovane era morto. Di solito quando finiamo un servizio torniamo subito in sede. Quella volta, non so perché, ci fermammo più del normale così che vedemmo arrivare i genitori del ragazzo. Il loro strazio lo ricordo ancora: fu immenso e mi commosse fino alle lacrime”.
Il ricordo più bello che ha?
“Direi quella volta che abbiamo salvato con il defibrillatore una donna di sessantacinque anni in arresto cardiaco”.
E la maggior soddisfazione?
“Aver tirato fuori da un magazzino dov’era sprofondato un uomo anche parecchio pesante. Avevano chiamato pure i pompieri ma noi, ingegnandoci, usando un’asse e delle funi, lo abbiamo salvato prima”.
La maggior parte dei vostri interventi però è di routine?
“Certo: cadute, traumi, problemi respiratori o cardiaci, incidenti stradali, malori vari”.
Tutte chiamate giustificate?
“Purtroppo no: sei su dieci sono uscite che si potrebbero evitare. Ma c’è molta gente che chiama per una sciatica, un mal di testa, un dolorino qualsiasi. Qualche tempo fa siamo andati fino a Masone, lasciando scoperta la nostra zona di competenza, per un signore di 61 anni che accusava un mal di schiena”.
Una soluzione potrebbe essere quella di far pagare questi interventi per così dire “inutili”?
“Non sarebbe una cattiva idea”.
Vi è mai capitato un parto in ambulanza?
“No, mai. Abbiamo trasportato donne gravide sul punto di… ma i bimbi sono nati sempre in ospedale”.
Oggi in quanti lavorano alla Croce Rossa di Arenzano?
“Otto dipendenti e un’ottantina di volontari, ma solo sulla carta perché i volontari che si sobbarcano almeno un turno a settimana sono solo una ventina”.
Di questi quanti sono giovani?
“Non molti in verità. D’altronde ormai per entrare in Croce Rossa c’è un iter molto rigoroso e abbastanza lungo che forse scoraggia qualcuno”.
Lei invece non molla…
“Prima o poi lascerò anch’io naturalmente. Credo per legge che il limite d’età per gli autisti sia 70 anni ma io vado avanti finché mi sento in salute e in grado di svolgere anche i servizi più pesanti come trasportare un paziente di cento chili giù da un quinto piano in un palazzo senza ascensore”.
Insomma, per lei è proprio una passione…
“Sì, è una cosa che ti prende anche se devi essere pronto a tutto. Non sai mai cosa ti troverai davanti. Ogni intervento è diverso dall’altro. E comunque non è una soddisfazione da poco aiutare la gente. Anche se devo ammettere che ci sono casi che ti fanno perdere la voglia, come l’ubriaco che ti riempie di insulti. Però ci sta anche questo e si supera”.
Quindi il bilancio di questi 44 anni di Croce Rossa è positivo?
“Decisamente sì. A parte il fatto che qui mi sono fatto molti amici mi ha aiutato a dare un miglior senso alla mia vita. Entrare in tante case, vedere situazioni di disagio o disperazione, ti fa capire quanto tu sia fortunato e quale sia il giusto valore da dare alle cose”.