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Il medico Luigi Vallarino si racconta: “Quaranta magnifici anni al servizio del mio paese”

di Giacomo Bonessa

Intervistare Luigi Vallarino non è facile. Non perché sia difficile incontrarlo (l’appuntamento è stato fissato a tre giorni dalla richiesta) ma perché il suo cellulare, già alle 8.30 del mattino, squilla ogni cinque minuti. Lui risponde sempre. Talvolta se la cava dando il numero dell’ambulatorio dove lavorano i colleghi ancora in servizio, più spesso ascolta con pazienza i sintomi e consiglia una terapia. O ancora promette una visita in mattinata. Insomma il telefono di uno dei medici più gettonati di Arenzano squilla spesso più del centralino della Casa Bianca. Chiama persino una collega che sta male da alcune ore e non sa come curarsi (“ma è una pediatra” la giustifica lui).

Medico una volta, medico per sempre, direbbe qualcuno.

“In effetti non mi sono mai pentito di aver scelto questa professione. Qualche dubbio l’ho avuto forse all’inizio, dopo il liceo scientifico. Non sulla facoltà da scegliere ma sulle mie capacità. Allora fu decisivo l’incoraggiamento di una docente di Lettere nostra vicina di casa, la professoressa Ada Col. Convinse me e i miei genitori che ero all’altezza della sfida”.

Ed ebbe ragione.

“Sì, mi laureai a spron battuto nel 1975, a 25 anni, con 108 su 110 per l’orgoglio dei miei genitori e soprattutto di mio padre che si occupava della manutenzione dei distributori di benzina e aveva fatto non pochi sacrifici per mantenermi agli studi”.

Il primo impiego?

“Una sostituzione per maternità alla Pneumologia dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure e i turni alla guardia medica Inam di Arenzano: le notti e i fine settimana”.

Poco dopo arriva il primo incarico ufficiale.

“Sì, nel 1977 il sindaco mi nomina medico condotto in sostituzione del mio predecessore dimissionario. Ero responsabile dell’igiene del paese nonché medico scolastico. Visitavo tutti bambini facendo attenzione soprattutto ai pidocchi che allora erano una vera iattura”.

Due anni dopo si cambia. Con l’istituzione del Servizio sanitario nazionale…

“Divento medico di base”.

Un incarico ricoperto fino al 2018, anno della pensione.

“Sì, trentotto anni magnifici al servizio del mio paese e dei miei concittadini con i quali sento di essere in simbiosi, di condividere il dialetto, la cultura, le emozioni”.

Il dolore più grande?

“La morte di un amico d’infanzia. Venne da me perché gli si era ingrossato un polpaccio. Pensai a un’asimmetria muscolare ma gli feci un’ecografia e ordinai una biopsia. Il verdetto fu tremendo: sarcoma delle parti molli. Morì pochi mesi dopo a soli trent’anni”.

La sua soddisfazione più grande?

“Aver diagnosticato in tempo alcune neoplasie dalle quali i pazienti poi sono guariti”.

Il suo errore più grande?

“Non ce n’è uno che ricorsi in modo particolare ma senz’altro qualche errore l’ho commesso. In questo lavoro la paura di sbagliare è costante. Ricordo il caso di una donna che visitai a domicilio per i postumi di una frattura alla tibia. Lamentava l’ingrossamento della gamba dentro l’ingessatura. Sul momento giudicai il fenomeno del tutto fisiologico ma quella notte, alle 3, mi svegliai con un chiodo fisso in testa e una grande angoscia: quell’ingrossamento non poteva essere il sintomo di una trombosi o di un’embolia polmonare? Quella mattina alle 7 mi precipitai a casa della signora e la feci ricoverare. Appena in tempo. In ospedale fu operata e salvata”.

Si è mai pentito di aver fatto il medico?

“No, anche se i problemi sono quotidiani ma quel che ricevi in cambio è impagabile a cominciare con l’empatia che si crea con la gente, la condivisione di un tessuto culturale comune a cominciare dal dialetto. Certo qualche volta ho pensato di andarmene da Arenzano perché un po’ mi sento cittadino del mondo. Tanto è vero che dei miei tre figli, una vive in Scozia e l’altra in Francia mentre il terzo si sta laureando in medicina a Milano”.

 Com’è cambiata la medicina in questi ultimi anni?

“Per quanto riguarda il medico di base direi che è cambiata in peggio a causa di un eccesso di burocrazia: troppe linee guida e troppa esigenza di specializzazione che se da un lato assicura un’assistenza migliore dall’altro svilisce un po’ il nostro ruolo. Per fare un esempio: ai miei tempi potevo seguire un diabetico e prescrivergli l’insulina. Oggi non potrei più. E il medico di base che prescrive farmaci in modo improprio ne risponde di tasca propria. Conosco colleghi ai quali è accaduto. Io sono rimasto a quella figura che al primo congresso della Simg (Società italiana dei medici di medicina generale) il presidente Banti paragonò a un artigiano fiorentino che nella sua bottega si occupa un po’ di tutto”.

Uno strumento di cui non può fare a meno?

“Direi l’ecografia. Appena mi è stato possibile ho comprato l’apparecchiatura e ho seguito il corso. È’ stata una vera rivoluzione anche se non molti colleghi lo usano”.

Ha avuto qualche paziente famoso?

“Beh, mi ricordo il dottor Uckmar (Victor, uno dei più noti fiscalisti e tributaristi italiani), Vittorio e Guglielmo Zucconi (padre e figlio, grandi giornalisti italiani) e la tata dei figli di Berlusconi. Aveva la casa piena delle foto del Cavaliere, di Pier Silvio e di Marina. So che i due ragazzi, una volta cresciuti, spesso venivano qui a trovarla. Poi ho curato anche un portiere del Genoa ma non mi chieda come si chiama, non lo ricordo anche perché io sono sampdoriano”.

Ha qualche hobby?

“Da giovane giocavo a pallanuoto nella Pro Arenzano che poi si sciolse. Tempi eroici: si giocava in mare. Il molo e la spiaggia si riempivano di spettatori e l’arbitro saliva su un gozzo per seguire quanto avveniva sul campo delimitato da sugheri galleggianti. Poi, grazie alla costruzione della piscina e all’entusiasmo di quell’uomo vulcanico che è stato don Jori. È nata la Rari Nantes Arenzano di cui sono stato presidente per cinque anni”.

Altri passatempi?

“Ci sarebbe l’attività subacquea ma non mi piace l’idea di immergermi oggi nelle acque di Arenzano: non ci sono più cozze, ricci, conchiglie a pinna. Anche se ricordo ancora un grave caso di inquinamento che con alcuni amici contribuii a far cessare. C’era un’azienda, la Stoppani che buttava in mare cromo esavalente. Il mare si colorava di marrone. Sul fondo si formavano anfore spontanee da cui fuoriusciva un liquido verdastro. Come dono di nozze gli amici mi regalarono macchina fotografica subacquea. Facemmo reportage fotografico su queste anomalie e denunciammo e la Stoppani che anche per questo fu costretta a chiudere”.

Insomma non ha altri svaghi a parte il lavoro?

“Mi piace leggere libri di filosofia, specialmente quella greca. Un’altra mia passione sono le camminate in montagna ma non posso più farle da quando mi sono fratturato il ginocchio sinistro fratturato durante un’escursione per rispondere al cellulare. Adesso ho una protesi”.

Qualche episodio divertente in quarant’anni di carriera?

“Sì. Ero in servizio alla guardia medica e ricevo una chiamata da un paziente che abitava nell’entroterra di Cogoleto. Ci vado con la mia Mini Minor e prima di arrivare mi trovo su una strada sterrata. I freni a tamburo della macchina si riempiono di polvere e quando, entrato nello spiazzo della casa, provo a fermarmi pigiando il pedale fino in fondo, non succede niente. O meglio, l’auto procede nella sua corsa, sfonda il muro dell’abitazione e si ferma a due passi dal letto del paziente. Per fortuna l’assicurazione ha pagato tutto e il paziente è guarito”.

Un altro aneddoto?                    

“E’ il 2001. Mi chiamano per una visita al Grand Hotel. Entro nella stanza e mi trovo circondato da tre facce da galera con pistole e mitra spianati mentre un quarto individuo è nel letto. Lo visito, è solo una leggera influenza e i quattro brutti ceffi sono agenti della Digos. Adesso mi scusi ma la devo lasciare”.

Qualche impegno improrogabile?

“In un certo senso sì. Tutte le mattina visito gli ospiti della residenza per anziani Villa Veneto e sono anche direttore sanitario di una Rsa a Varazze”.

 

 

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