È al centro di numerose polemiche il fatto che anche Cogoleto, come altri comuni, stia ospitando alcuni profughi venuti dall’Africa.
Sono circa venti ragazzi, che adesso vivono temporaneamente in una casa della Città Metropolitana a Pratozanino, e sono gestiti dalla Croce Rossa e dalla Prefettura. Grazie alla solidarietà di molti cittadini e associazioni che spesso agiscono senza farsi pubblicità hanno ricevuto vestiti e coperte, e stanno svolgendo gratuitamente lavori di pubblica utilità vicino all’edificio in cui si trovano. La Croce Rossa li sta coinvolgendo in varie attività per favorire l’integrazione, mentre Unitre organizza lezioni di italiano.
Ma del resto, della loro storia sappiamo veramente poco. Al di là di ogni polemica, Cronache Ponentine è andato a chiedere direttamente le loro testimonianze, per capire meglio da dove arrivano, cosa hanno passato, e cosa cercano. Abbiamo scoperto cose interessanti e non sempre note, come il fenomeno degli “sbarchi forzati” (uno dei ragazzi da noi intervistati ha detto di essere stato costretto a salire su un barcone) o il fatto che non tutti lasciano la propria casa con l’intenzione di venire in Europa: spesso dicono di arrivare sulle nostre coste dopo diverse peripezie e dopo lunghi viaggi da uno stato all’altro dell’Africa, alla ricerca di una vita migliore, sfociati quasi tutti nella violenza in Libia, e poi nel viaggio della speranza sui barconi dove in tanti, invece, hanno trovato la morte. I ragazzi sono aperti e disponibili a parlare della loro storia.
Sono studenti, artisti, meccanici, alcuni hanno perso le tracce dei loro parenti scappando, altri li hanno ritrovati miracolosamente in Italia (come la storia dello studente che ha scoperto che sua moglie si trova in un centro di accoglienza a Viterbo), altri ancora hanno potuto telefonare alle loro famiglie dopo mesi di silenzio per raccontare di essere sopravvissuti, forse uno dei momenti più toccanti della loro permanenza qui in Italia. Alcuni hanno raccontato di essere scappati dalla povertà, altri dalla guerra, altri ancora hanno incontrato l’Isis sul loro percorso. Tutti ci hanno confermato di aver visto molte persone, in alcuni casi amici o parenti, morire.
Naturalmente non siamo in grado di confermare le loro storie personali, ma le testimonianze del loro viaggio combaciano con la maggior parte delle storie dei profughi che arrivano dall’Africa subsahariana. Come ha raccontato uno dei nostri intervistati: «Una persona che conoscevo mi ha detto di avere amico che organizzava questi viaggi per portare la gente in Europa, ma mi ha anche detto che a volte la gente moriva, i viaggi erano rischiosi. Gli ho risposto che la vita in Libia era ancora più pericolosa e che ero disposto a rischiare la vita per la libertà».
Servizio realizzato da Valentina Bocchino